Dalmazia
Dopo la prima guerra mondiale, in base al Patto di Londra l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia settentrionale, incluse le città di Zara, Sebenico e Tenin. All'annessione si oppose il neonato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, appoggiato da Woodrow Wilson, e la Dalmazia venne alla fine ceduta allo Stato sud-slavo, con l'eccezione di Zara (a maggioranza italiana la città, a maggioranza croata il comune, secondo il censimento del 1910), delle isole di Lagosta e Cazza e di quelle carnerine (Cherso, Lussino, Unie, Sansego e Asinello) che vennero assegnate all'Italia. Nel nuovo ordinamento regionale del regno iugoslavo, la Dalmazia faceva parte della Banovina del Litorale con parte dell'Erzegovina.
Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, la Iugoslavia fu invasa dall'Asse e smembrata. La Dalmazia fu spartita fra Italia, che vi istituì il governatorato della Dalmazia (Dalmazia centrosettentrionale - comprendente Zaravecchia, Sebenico, Traù e Spalato - e le Bocche di Cattaro) e Stato Indipendente di Croazia, che annetté Ragusa e Morlacchia, sebbene in quelle regioni fossero stanziate truppe italiane. Subito il Governatorato divenne rifugio per le popolazioni dell'entroterra[6] che fuggivano dalle persecuzioni e dalle atrocità commesse dagli ustascia. Comunque, nonostante una ridotta turbolenza causata dall'inizio della guerriglia di resistenza contro l'Asse, la Dalmazia italiana fino all'estate 1943 rimase relativamente tranquilla (almeno rispetto all'entroterra dominato dalla Croazia di Ante Pavelic).
Con la resa italiana (8 settembre 1943) lo Stato ustascia croato attaccò il Governatorato di Dalmazia annettendolo fino ai confini del 1941, mentre le Bocche di Cattaro passavano sotto diretta amministrazione militare tedesca, assieme alla città di Zara, che in tal modo riuscì temporaneamente ad evitare l'annessione alla Croazia. Tuttavia la città venne fatta segno di numerosi bombardamenti da parte alleata che la distrussero quasi completamente. Nel dicembre del 1944 l'intera Dalmazia era oramai sotto controllo dei partigiani di Tito, compreso ciò che restava della città di Zara.
Alla fine del conflitto tutta la costa adriatica orientale, compresa Zara e le isole precedentemente italiane, finì per far parte della Jugoslavia federale diventata comunista, che amministrò l'area fino alla sua dissoluzione come Stato (1991). Nella Jugoslavia federale la Dalmazia fu parte della repubblica di Croazia, ma le Bocche di Cattaro e Budua furono annesse alla repubblica del Montenegro (Cattaro), mentre alla repubblica di Bosnia ed Erzegovina restò lo sbocco al mare a Neum. I confini rimasero immutati anche dopo la dissoluzione della Jugoslavia.
Divisioni etniche della Dalmazia in base alle religioni professate. Etnografia
La costa adriatica orientale è sempre stata caratterizzata, come buona parte della penisola balcanica, dalla convivenza di diversi gruppi etnici, spesso pacifica, molto più spesso degenerata in conflitti e guerre, specialmente nell'epoca dei nazionalismi.
Le popolazioni storiche che si stanziarono nella costa adriatica sono quella illirica e liburnica, tutte e due latinizzate durante la lunga dominazione romana. Assieme a loro sulla costa vi erano i coloni greci e poi gli antichi romani, da cui discendevano gli oriundi dalmati (Zara, Ragusa, Spalato, Traù, Veglia, Cattaro, Lissa, ecc...). All'interno della Dalmazia dagli illiri, celti e forse de alcuni traci romanizzati provengono i valacchi, prima completamente romanizzati ma poi (specialmente dopo il mille) slavizzati e noti come morlacchi[7]. Infine dalle genti slave, arrivate dal VII secolo in poi e mescolatesi con i predecessori ai quali imposero le strutture statali e la lingua, discendono i moderni croati e la minoranza serba in Dalmazia, come pure i vicini bosniaci e montenegrini.
La minoranza autoctona italiana discende dai dalmati romanzi (soprattutto nelle isole del Quarnaro ed in alcune città costiere): essi sono prevalentemente zaratini o cittadini (Traù, Tenin, Spalato, Quarnaro, Cattaro) assimilati socialmente con gli slavi e morlacchi tramite la formazione o l'impiego dalla cultura veneziana, e dagli impiegati statali importati dal Regno Lombardo-
Veneto durante l'impero asburgico. Comunque, le prime etnie originarie neolatine furono soppiantate da croati e italiani già a partire dal X secolo, e di loro rimasero poche tracce fino al XIX secolo.
Nel 1941 sotto il Governatorato di Dalmazia, celebrato dagli irredentisti italiani come la Redenzione delle terre italiane nell'Adriatico orientale, i contrasti fra il gruppo etnico italiano e quello slavo si acuirono anche a causa del clima di terrore instaurato nei territori di competenza della Seconda Armata dal generale Mario Roatta, comandante delle truppe del regio esercito e soprattutto dai partigiani titini presenti sul territorio. Anche i rapporti fra croati e serbi si deteriorarono bruscamente in quegli anni a seguito degli eccidi perpetrati contro quest'ultima etnia dagli ustascia croati.
Dopo la seconda guerra mondiale, tutta la Dalmazia, compresa Zara, fu annessa alla nuova Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia: da allora, a seguito della persecuzione etnica a cui furono sottoposti, vi fu un vasto esodo di italiani. Così, tra il 1943 al 1955, la componente etnica croata è diventata sia territorialmente che culturalmente egemone, mentre quella italiana è praticamente scomparsa in Dalmazia.
Comunità slave
Alla seconda metà del VII secolo risale la prima colonizzazione slava dell'area dalmatica, che portò a stanziarsi fra la Drava e il mar Adriatico i Serbocroati. Da allora l'etnia fu maggioritaria in molte zone della Dalmazia (soprattutto nell'entroterra) e assimilò anche nel corso degli anni parte delle popolazioni neo-latine come i morlacchi (transumanti) sino all'età moderna. La popolazione serbo e croata si distinsero anche in seguito in base alla denominazione cristiana: gli slavi del nord-est erano soggetti all'influenza politica carolingia e alla tradizione romana e aderirono al cristianesimo romano, ottenendo la speciale concessione di celebrare la liturgia in glagolitico, privilegio tuttora mantenuto, ma in disuso da quando il Concilio Vaticano II introdusse le lingue nazionali nella liturgia. Il sud-est rimase invece legato alla tradizione bizantina, che distinse i serbi (ortodossi) da croati (cattolici). Anche i morlacchi si divisero ai croati e serbi in base alla denominazione cristiana. Nella vicina Bosnia i cattolici si considerano croati, gli ortodossi serbi, e solo i musulmani (di fede o di tradizione) si professano bosgnacchi o bosniaci. I Croati oggi occupano tutta l'area costiera, mentre nella zona interna della Dalmazia, detta Zagora, vivono ancora delle comunità serbe, nonostante le sanguinose battaglie verificatesi alla nascita dello stato croato contro la separatista Repubblica Serba di Krajina.
Comunità ebraica
Gli ebrei si sono insediati in Dalmazia dal I secolo a.C. Sono numerosi reperti archeologici che testimoniano un loro insediamento presso la Porta Orientale di Salona. Sul posto sorge il protosantuario della Madonna dell'Isola (Gospe od
Otoka), un segno che la cristianizzazione della Dalmazia passo per la comunità ebraica. La presenza degli ebrei a Salona e quindi a Spalato sembra ininterrotta per tutti questi secoli, poiché è testimoniata una sinagoga a Spalato prima del XII secolo. L'ascesa commerciale di Spalato dal secolo XVII si deve alla scala e lazzaretto costruiti da Daniel Rodriga. La comunità non subì gravi persecuzioni sino alla seconda guerra mondiale, quando alcuni soldati italiani, guidati dal vicefederale fascista Giovanni Savo, distrussero e arsero tutti monumenti, rotoli e paramenti dalla Sinagoga di Spalato.
Lingue e dialetti
L'area della Dalmazia è caratterizzata prevalentemente da due dialetti slavi, considerati parte della lingua croata, il dialetto «čakavo» e il dialetto «štokavo»; il primo esclusivamente croato, ma caratterizzato nei vernacolari cittadini da influssi lessicali veneti, mentre il secondo sta alla base delle lingue croata, ma anche bosniaca, montenegrina e serba standard (con differenze lessicali e stilistiche tra loro).
Nella storia della letteratura il čakavo è la prima lingua letteraria dei croati, diffusa in Istria e Dalmazia prevalentemente dell'area insulare e costiera. Nella sua forma antica, che tuttavia si è in buona parte tramandata, sono stati scritti alcuni dei testi storici della letteratura croata, prima fra tutti la Judita di Marco Marulo (Marko Marulić). Lo štokavo, nelle sue varianti, è la lingua slava più parlata in Dalmazia (entroterra), e viene generalmente diviso in gruppi in base alla pronuncia dell'antica vocale "jat", che a seconda dei casi si è trasformata in "i" ikavo (Bosnia, entroterra dalmato), "e" ekavo (Serbia), "ije" (ijekavo) (Bosnia, Croazia e Montenegro).
Lingue romanze nei Balcani nel XIV secolo
Comunità italiana
Attualmente in Dalmazia vi sono comunità italiane di modestissima entità numerica, ultima testimonianza di una presenza che discende direttamente dalle popolazioni di lingua romanza sopravvissute alle invasioni slave.
Secondo il linguista Matteo Bartoli l'italiano era l'idioma parlato come prima lingua da circa il 33% della popolazione dalmata all'inizio delle guerre napoleoniche nel 1800.[9][10] Alle valutazioni di Bartoli si affiancano anche altri dati: Auguste de Marmont, il Governatore francese delle Province Illiriche commissionò un censimento nel 1809 attraverso il quale si scoprì che i Dalmati italiani, concentrati soprattutto nelle città, costituivano oltre il 29% della popolazione totale della Dalmazia.
La comunità italiana agli inizi del XIX secolo era ancora consistente ed era maggioritaria in alcuni dei maggiori centri urbani costieri e su alcune isole.
Con l'affermarsi del concetto di nazionalismo romantico e il risveglio delle coscienze nazionali, cominciò la lotta fra gli italiani e gli slavi per il dominio sulla Dalmazia.
Nel XIX secolo, per opporsi al Risorgimento italiano, il governo austriaco in Dalmazia cercò di contrastare la presenza degli Italiani nelle province, la cui entità numerica andò così progressivamente diminuendo nel corso degli anni.
I verbali del Consiglio dei ministri asburgico della fine del 1866 mostrano l'intensità dell'ostilità anti-italiana dell'imperatore e la natura delle sue direttive politiche a questo riguardo. Francesco Giuseppe si convertì pienamente all'idea della generale infedeltà dell'elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica: in sede di Consiglio dei ministri, il 12 novembre 1866, egli diede l'ordine tassativo di «opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronlander e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo, mediante un adeguato affidamento di incarichi a magistrati politici ed insegnanti, nonché attraverso l'influenza della stampa in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico». Tutte le autorità centrali ebbero l'ordine di procedere sistematicamente in questo senso.
Secondo i censimenti dell'Impero Austroungarico, la lingua italiana in Dalmazia era parlata nelle seguenti percentuali[
Traù.
Anno |
Numero |
Percentuale |
Popolazione (totale) |
1800 |
92.500 |
33,00% |