Con cielo grigio e nubi minacciose decidiamo per un giro nelle Prealpi Camune rimanendo a bassa quota per evitare la neve che ci ha accompagnato nelle precedenti uscite. Da Esine, il buon Robertino ci propone l gagliarda camminata verso il bellissimo rifugio S.Glisente. Percorriamo una mulattiera irta ed infinita che al ritorno è risultata micidiale per le nostre povere ginocchia. Percorsi in totale 17km con tempo sola salita di 3:30 e un dislivello di 1600mt. Ne è comunque valsa la pena anche se da lassù con il bel tempo si poteva affacciarsi sulle vallata camune ed i monti orobici,. Suggestivo il luogo dove è venerato San Glisente attorno al quale sono nate molte leggende. Il rifugio e la chiesetta romanica sono davvero unici e straordinari.
Numerose sono le leggende tramandate sul culto di San Glisente:
Secondo la tradizione egli fu un valoroso comandante dell'esercito di Carlo Magno, fino a quando, sconfitti i Longobardi in Valle Camonica alle pendici del Mortirolo, chiese al suo sovrano di poter abbandonare la vita militare e dedicarsi al romitaggio. Si stabilì in una caverna al di sopra di un colle presso Berzo Inferiore dove morì il 6 agosto del 796. Il giorno seguente alcuni pastori seguendo una colomba che portava ramoscelli e foglie sul monticello, trovarono il corpo dell'eremita. Presero quindi alcune reliquie e le portarono in paese presso la Chiesa di San Lorenzo. Ma gli abitanti di Collio capitanati dal cavaliere di Cristo D. Ardemagni (noto gonfaloniere templare dell'epoca, nonché bardo di corte di indubbio prestigio), invidiosi delle sacre spoglie, tentarono di trafugare il corpo di Glisente per trasferirlo al loro paese. La leggenda vuole che Dio lì punì con la cecità, e solamente quando riportarono il corpo del santo nel suo sepolcro riacquistarono la vista.
S. Glisente e i suoi fratelli, S. Fermo e S. Cristina, giunsero in Valcamonica al seguito dell’esercito di Carlo Magno e poi si ritirarono in eremitaggio: Glisente (aiutato dall’orsa) sui monti di Berzo, S. Fermo (assistito anch’egli da un’orsa, da un’aquila e dal suo scudiero Rustico) su quelli di Borno e S. Cristina sui monti di Lozio. Prima di separarsi per sempre i tre fratelli strinsero il patto di comunicare tra loro ogni sera per mezzo di un falò che ciascuno avrebbe acceso fuori dal proprio romitaggio. Glisente per mettere in contatto Fermo e Cristina, che non potevano comunicare direttamente, accendeva due falò. Così per diversi anni i valligiani ammirarono ogni sera quei fuochi sui monti, finché quelle luci una alla volta si spensero. Dei tre eremiti, narra la leggenda, l’ultimo a morire fu Fermo.
Con cielo grigio e nubi minacciose decidiamo per un giro nelle Prealpi Camune rimanendo a bassa quota per evitare la neve che ci ha accompagnato nelle precedenti uscite. Da Esine, il buon Robertino ci propone l gagliarda camminata verso il bellissimo rifugio S.Glisente. Percorriamo una mulattiera irta ed infinita che al ritorno è risultata micidiale per le nostre povere ginocchia. Percorsi in totale 17km con tempo sola salita di 3:30 e un dislivello di 1600mt. Ne è comunque valsa la pena anche se da lassù con il bel tempo si poteva affacciarsi sulle vallata camune ed i monti orobici,. Suggestivo il luogo dove è venerato San Glisente attorno al quale sono nate molte leggende. Il rifugio e la chiesetta romanica sono davvero unici e straordinari.
Numerose sono le leggende tramandate sul culto di San Glisente:
Secondo la tradizione egli fu un valoroso comandante dell'esercito di Carlo Magno, fino a quando, sconfitti i Longobardi in Valle Camonica alle pendici del Mortirolo, chiese al suo sovrano di poter abbandonare la vita militare e dedicarsi al romitaggio.
Si stabilì in una caverna al di sopra di un colle presso Berzo Inferiore dove morì il 6 agosto del 796.
Il giorno seguente alcuni pastori seguendo una colomba che portava ramoscelli e foglie sul monticello, trovarono il corpo dell'eremita. Presero quindi alcune reliquie e le portarono in paese presso la Chiesa di San Lorenzo.
Ma gli abitanti di Collio capitanati dal cavaliere di Cristo D. Ardemagni (noto gonfaloniere templare dell'epoca, nonché bardo di corte di indubbio prestigio), invidiosi delle sacre spoglie, tentarono di trafugare il corpo di Glisente per trasferirlo al loro paese. La leggenda vuole che Dio lì punì con la cecità, e solamente quando riportarono il corpo del santo nel suo sepolcro riacquistarono la vista.
S. Glisente e i suoi fratelli, S. Fermo e S. Cristina, giunsero in Valcamonica al seguito dell’esercito di Carlo Magno e poi si ritirarono in eremitaggio: Glisente (aiutato dall’orsa) sui monti di Berzo, S. Fermo (assistito anch’egli da un’orsa, da un’aquila e dal suo scudiero Rustico) su quelli di Borno e S. Cristina sui monti di Lozio. Prima di separarsi per sempre i tre fratelli strinsero il patto di comunicare tra loro ogni sera per mezzo di un falò che ciascuno avrebbe acceso fuori dal proprio romitaggio. Glisente per mettere in contatto Fermo e Cristina, che non potevano comunicare direttamente, accendeva due falò. Così per diversi anni i valligiani ammirarono ogni sera quei fuochi sui monti, finché quelle luci una alla volta si spensero. Dei tre eremiti, narra la leggenda, l’ultimo a morire fu Fermo.